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C’era una volta un aereoporto

L’Hangar
Nel agosto del 1912 giunse a Jesi De Cristoforo, un capitano del genio miltare,
per individuare la località da espropriarsi ove far sorgere “l’ hangar” per i dirigibili.
La scelta cadde sul terreno del conte Baldeschi, di fronte alla villa Balleani di circa 85 ettari. Il 2 dello stesso mese, re Vittorio Emanuele III, con decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 settembre dichiarava di pubblica utilità l’impianto di un aeroscalo e dei servizi relativi nel territorio del Comune di Jesi e ordinava l’espropriazione dei beni immobili e dei diritti immobiliari a tal uopo occorrente.

In forza di questo decreto il De Cristoforo diede la consegna del locale agli appaltatori fratelli Borini di Torino per le opere murarie, mentre le opere metalliche erano state già approntate dalle fonderie di Svignano in Piemonte. Il cantiere aeronautico conteneva l’hangar lungo 120 m. e m.35 largo ed alto m. 35, tutto in ossatura metallica e vari altri fabbricati.
Il Comune di Jesi doveva versare al governo 24 mila lire per l’acquisto del terreno e fornire i locali su all’appannaggio per 136 uomini di truppa, per gli alloggi ai sott’ufficiali, per gli uffici di distaccamento e per i vari servizi inerenti.
L’hangar venne innaugurato nel maggio del 1914. Il dirigibile un M.3. comandato dal tenente di vascello Scelsi, arrivo il 3 agosto. Fin dal suo sorgere, l’hangar rappresentò per la città un motivo di pregio e di grande attrazione, come provano le reclamizzanti cartoline illustrate del tempo con vedute del dirigibile a terra ed in volo sulla città e sui paesi vicini.

Prima dell’inizio della guerra 1915-1918 l’aeroscalo era armato al completo dei servizi principali, comprendendo oltre l’hangar, un generatore di idrogeno da 500 metri cubi all’ora, tettoie per cilindri di idrogeno compresso, depositi di benzina, petrolio, depositi blindati di munizioni, fabbricati per officine e magazzini ed abitazioni per un complesso di 150 persone. In vista di possibili attacchi aerei, fu costruito un hangar per aeroplani da caccia e furono impiantate due batterie antiaeree. Ciò nonostante il nemico riuscì tre volte a raggiungere l’obbiettivo: “nella prima incursione (maggio 1916) l’hangar veniva colpito in pieno; nella seconda (27 settembre del 1917) l’aeronave M.13 veniva distrutta, la terza (agosto del 1918).


Dirigibile Città di Jesi
Approntato per conto della Marina Militare nel 1914, era cosi chiamato perché destinato all’hangar di Jesi. Costruito nelle officine di Vigna di Valle, era del tipo semirigido, più grande del dirigibile “Citta di Ferrara” e quindi, rispetto
a quest’ultimo, capace di raggiungere quote più elevate e una maggiore velocità.
Per queste sue caratteristiche venne ritenuto più utile il suo impiego
in zone prossime al fronte, per cui, anziché raggiungere Jesi, l’aeronave venne trasferita direttamente all’hangar di Ferrara, dove arrivò nella primavera del 1915.

A Jesi venne invece inviato il “Città di Ferrara”, comandato dal tenente
di vascello Castruccio Castracane. Il 29 maggio dello stesso anno, un
comitato jesino presieduto dalla marchesa Erminia Honorati consegnava, perché la facesse recapitare al “Citta di Jesi”, la bandiera di combattimento donata dagli jesini al dirigibile che portava nei cieli il nome di questa città (la bandiera venne scortata a Ferrara e consegnata al comandante del “Citta di Jesi”, capitano di fregata Guido Scelsi). Il 28 giugno il comando dell’aeronave passò al tenente di Vascello Bruno Brivonesi (nella foto). La sera del 5 agosto il dirigibile “Citta di Jesi”, con cinque persone a bordo, lasciò Ferrara per bombardare dal cielo alcune installazioni militari di Pola. Intercettato, a tre chilometri dall’obbiettivo, dai riflettori e dalla contraerea austriaca, riuscì ugualmente a sganciare il suo carico di bombe ma, colpito, comincio a perdere quota fino a precipitare in mare.


Affinché non cadesse in mano al nemico la bandiera venne zavorrata e fatta sparire sott’acqua. Dopo lunga permanenza in mare, i membri dell’equipaggio, incolumi, vennero raccolti da una torpediniera austriaca e successivamente trasferiti nel campo di concentramento di Mauthausen. Il relitto del dirigibile fu rimorchiato nel porticciolo di Veruda e demolito (nel 1918 al Brivonesi verrà conferita la medaglia d’argento al valor militare; gli altri quattro decorati con ricompense al valore).


Dirigibile Città di Ferrara Del tipo militare “M”, è stato costruito dalla marina italiana e dislocato nel 1914 all’hangar di Ferrara. Nella primavera del 1915, tuttavia, prevedendosene l’impiego nel medio adriatico, venne trasferito all’hangar di Jesi, cosicché il dirigibile “Città di Jesi” destinato nel nostro aeroscalo, venne assegnato a quello di Ferrara.

Il “Citta di Ferrara“, comandato dal tenente di vascello
Castruccio Castracane degli Antelminelli (nella foto), effettuò la sua prima missione di guerra nella notte tra il 23 e il 24 maggio del 1- 915, a poche ore dall’inizio delle ostilità con l’Austria. Gettò alcune bombe su navi nemiche che avevano aperto il fuoco contro Ancona e altre località della costa.
Al città di Ferrara era affidato il compito di sorvegliare il mare Adriatico
nell’ area del porto di Ancona, che era minacciato da continui
bombardamenti dalla flotta austriaca inviata a cannoneggiare Ancona, recando danni ( alla caserma Villarey, di Ancona, ci furono 16 morti tra i militari).


Nella notte tra il 7 e 8 giugno al dirigibile Città di Ferrara, al comando del Tenente di Vascello Castruccio Castracane, fu dato l’ordine di partire verso Fiume ( oggi Rieca ) per scaricare bombe sul siluruficio Whithead.
Venne accolto però dal fuoco della contraerea che ne perforò l’ involucro e, malconcio, il dirigibile fu costretto ad abbassarsi verso il mare e fu raggiunto da alcuni idrovolanti austriaci che lo incendiarono. Persero la vita tra le fiamme il tenente di vascello De Pisa e il maresciallo motorista Montero; i superstiti tra cui il Castracane venne ro fatti prigionieri da unità navali austriache.

Nel mese di giugno altri dirigibili compirono diverse azioni notturne contro Pola e il nodo ferroviario, ma con danni insignificanti; le missioni s’ intrecciarono soprattutto sul fronte. Il comandante Castruccio Castracane terminò la sua carriera da ammiraglio di squadra, mori in Ancona il 13 dicembre del 1945.


L’aeroporto
Alla vigilia dell’ultima guerra il vecchio aeroscalo fu demolito, e sulla sua area ampliata venne costruito su ordine dell’allora capo del governo Benito Mussolini un aeroporto militare che per la lunghezza della pista (m 1048X60), il
complesso delle caserme e dei capannoni e la modernità degli impianti, veniva considerato il secondo d’Italia.

Vi funzionava una scuola di volo già nel 1938, vi erano gli RO 41, aerei da scuola di primo grado e da allenamento acrobatico, ai quali seguirono gli l.3. velivoli da turismo e da allenamento. Nel 1943, mentre dalla vicina fabbrica di aeroplani uscivano i primi trimotori SM.75 bis, funzionava una scuola di pilotaggio “di secondo periodo, specialità B.T.” con aerei del tipo Br 20 prima e con gli SM.79 poi.

Nel maggio di quell’anno risultavano in forza all’aeroporto 46 ufficiali, 83 sottufficiali e 670 uomini di truppa. Vi era dislocato il 32° Gruppo da bombardamento con otto aerei Caproni Ca. 314. Vi era anche distaccata una squadriglia di cacciatori tedeschi della Lutftwaffe. Dopo lo sbarco dell’esercito alleato in Sicilia e con l’avvicinarsi del fronte, l’aeroporto subì vari attacchi aerei da parte degli anglo-americani (il primo bombardamento lo subì il
3 novembre del 1943), ma senza gravi danni.

Tutte le sue strutture, edifici compresi, vennero invece rasi al suolo completamente nel luglio del 1944 dai tedeschi in ritirata. L’aviazione inglese ripristinarono l’aeroporto per consentire l’atterraggio e il decollo delle fortezze volanti, aumentando la lunghezza delle piste e montando baracche in lamiera per l’alloggiamento dei militari. Terminata la guerra, l’aeroporto fu presidiato per un certo tempo dalla Aeronautica Militare italiana, che poi se ne andò lasciandovi solo un custode.L’aeroporto rimase aperto al traffico turistico nazionale ma in stato di totale abbandono.

La parte del campo costruita dagli inglesi venne demolita, il terreno nuovamente adibito a coltura e l’aeroporto tornò al vecchio perimetro. Rimase funzionante la pista utilizzata soprattutto dall’Aero Club di Ancona, fino a che il Consiglio comunale di Jesi, contro il parere da parte dei cittadini che sollecitavano il mantenimento della pista di volo per usi civili e commerciali, non votò per lo smantellamento dell’aeroporto destinando l’area ad insediamenti industriali. Il 16 maggio del 19- 66 la gazzetta ufficiale pubblicava il decreto di sdemanializzazione. Il terreno venne acquistato dalla ZIPA, che lo destinò ad uso industriale.


La Savoia Marchetti era uno stabilimento per la costruzione di aeroplani realizzato a Jesi alla vigilia dell’ultima guerra dalla Savoia Marchetti, società aeronautica con sede a Sesto Calende, che in previsione di un conflitto,
aveva deciso per il decentramento dell’industria nel centro Italia.

La scelta delle sede era stata laboriosa. Si erano candidate diverse città fra
le quali Terni e Ancona, facendo proposte ed offerte concrete (terreno gratuito, agevolazioni per le imposte di consumo sui materiali da costruzione e sulle forniture d’acqua, ecc.), nonché grandi promesse per servizi di trasporto personale e materiale, sistemazione varie, alloggi, ecc. La svolta decisiva si ebbe il 6 aprile del 1939 in occasione di una visita di Benito Mussolini all’ aeroporto di Jesi. Al comandante dell’aeroscalo, che gli fece presente la crisi occupazionale determinatasi nella nostra città con la chiusura delle nostre filande, il duce aveva risposto: “sulla seta e relativa industria non c’è più da contare, e non c’è altro da fare che far sorgere qui un’industria aeronautica”.



Il 4 settembre la direzione milanese delle costruzioni Aeronautiche dispose un sopralluogo sui campi d’aviazione di Jesi e di Falconara. Otto giorni dopo partivono da Jesi per Sesto San Giovanni dieci operai assunti dalla Savoia Marchetti. Il 5 gennaio del 1940 il prefetto di Ancona comunicò al podestà di Jesi, Augusto Ferri, che il duce era personalmente intervenuto affinché il tanto atteso stabilimento venisse costruito nella nostra città. Mentre la Savoia Marchetti assumeva duecento operai della zona di Jesi per introdurli nelle sue officine di Sesto Calende allo scopo di indirizzarli alla conoscenza delle sue lavorazioni, con l’intendimento di trasferirli poi nella nuova fabbrica di Jesi, il comune procedeva all’esproprio di 240 mila metri quadrati di terreno sui quali poi iniziavono i lavori per la costruzione del nuovo complesso.

A guerra inoltrata venne completata la costruzione del nuovo stabilimento, destinato, secondo i programmi, ad assorbire non meno di duemila
operai. Nel luglio del 1943 il personale occupato era di circa 1400 unità con
tendenza ad ulteriore incremento. In quel periodo lo stabilimento era arrivato a produrre 3-4 aerei al mese del tipo SM 75 (il primo esemplare prodotto era stato ceduto all’Ala Littoria, cioè alle linee civili col nome di I-Jesi). Oltre a costruire nuovi aerei, la stabilimento di Jesi revisionava tutti gli altri modelli prodotti a Sesto Calende.
Il 19 gennaio del 1944 lo stabilimento jesino subì un bombardamento aereo da
parte di formazioni alleate, poi venne completamente distrutto cinque mesi dopo dai guastatori delle truppe tedesche in ritirata.